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La società industriale contro le società vernacolari. |
II punto di vista ecologista di Edward Goldsmith.
di Mario Cenedese
(da Frontiere)
Innanzi tutto, Edward Goldsmith, inglese di famiglia benestante, nato a
Parigi nel 1928, è un ambientalista famoso a livello internazionale non
solo per i suoi lavori "scientifici", ma soprattutto per le battaglie
portate avanti in prima persona sul fronte ecologico e sociale.
A titolo esemplificativo, ricordiamo i continui interventi di Goldsmith
contro le azioni distruttive intraprese dalle grandi banche
multilaterali, come la Banca Mondiale, e contro tutti quei programmi di
sviluppo che prevedono la costruzione di dighe, di centrali nucleari,
che producono devastazioni ambientali nelle foreste tropicali e così
via. Inoltre, nel primo numero del 1985 della rivista da lui diretta e
sostenuta, The Ecologist, aveva pubblicato una lettera aperta al
presidente della Banca Mondiale di allora, R. Clausen, ritenendolo
responsabile di sponsorizzare la povertà, la distruzione dell'ambiente e
la fame nei paesi terzomondiali.
A tale proposito, Goldsmith ha pure predisposto, più di recente, un
numero speciale del The Ecologist in cui ha attaccato duramente il
direttore della FAO, E. Saouma, denunciando la sua Agenzia
internazionale di perseguire una politica di sviluppo deleteria nei
confronti dei paesi poveri.
Infine, nel 1991, a Goldsmith è stato attribuito, proprio per le sue
campagne ecologistiche, uno dei più ambiti riconoscimenti alternativi a
livello mondiale, quello che viene definito il "Premio Nobel
Alternativo" (Right Livelihood Award) presentato ogni anno al Parlamento
svedese il giorno che precede la premiazione ufficiale dei Premi Nobel.
Lo stato stazionario
Società stabile, società stazionaria, stato stazionario economico,
de-industrializzazione sono sempre stati i concetti-chiave, che
Goldsmith ha sviluppato in più di venti anni di attività e di ricerca
per tentare di individuare nuove strade da percorrere affinché possa
essere recuperata l'antica armonia premoderna tra società umana e mondo
della natura.
Tale armonia e stata messa a repentaglio a partire da Bacone e Cartesio
e dai pensatori successivi, con la loro visione antropocentrica e, per
certi versi, "interventistica" nei confronti degli aspetti naturali,
dato che concepivano la conoscenza non più come visione contemplativa
che lascia le cose cosi come sono, ma in senso tecnicistico come serie
di escogitazioni razionali atte ad operare sulla realtà per modificarla.
Il mondo greco e tutte le correnti tradizionali del pensiero antico
ritenevano, d'altra parte, che uomo, Stato e natura fossero sottoposti
alle stesse norme e seguissero leggi simili, per cui una frattura tra
uomo e natura, e tra Stato e natura sarebbe stata considerata una
profanazione della sacralità della Terra e del Cosmo.
Goldsmith, nel corso delle sue analisi, individua nel cosiddetto
"progresso", inteso come sviluppo della scienza, della tecnologia,
dell'industria, del sistema mondiale del mercato e dello Stato Moderno,
la causa principale dei numerosi problemi cronici, apparentemente
irrisolvibili, che stanno devastando la società attuale, quali la
disoccupazione, l'istruzione scadente, la cattiva salute,
l'inquinamento, la guerra, l'esplosione demografica, la delinquenza, la
tossicodipendenza, e cosi via.
Tali problemi, riconducibili, in sintesi, a due tendenze fondamentali:
disintegrazione sociale e degrado ambientale, non vengono affrontati in
maniera adeguata dai responsabili del nostro ordine societario perché
ciò non è né politicamente opportuno né economicamente conveniente.
Diversamente, si tratterebbe di scardinare in modo radicale l'attuale
assetto politico-sociale ed economico, "...ponendo il "progresso"
all'opposizione..., come osserva lo stesso Goldsmith.
Pertanto, invece di applicare espedienti a breve termine, aggiustamenti
ad hoc, per coprire le manifestazioni più lampanti dei problemi che
stanno a monte, è necessario enucleare quali siano le caratteristiche
essenziali di una nuova società liberata dall'ordine-disordine sociale
ed economico fondato sullo "sviluppo ad ogni costo", in cui siamo
caduti. Tali caratteristiche si possono stabilire solo individuando le
peculiarità di base delle società tradizionali del passato che si sono
dimostrate in grado di evitare, per anni incalcolabili, la creazione di
questi problemi aberranti, che oggi, ci troviamo di fronte.
Tuttavia, come precisa Goldsmith, "...non possiamo ricreare il
passato, l'esperienza dell'era moderna non può essere cancellata.
Oltre il ricordo del passato
L'ecologista inglese in oggetto non è un passatista, come è stato
talvolta considerato. Se, nelle sue opere, usa molto spesso come punti
di riferimento le popolazioni tribali che vivono in armonia con la
natura, è solo perché queste possono fornire un modello reale di
comunità stabili e solidali, un esempio da cui trarre orientamenti da
seguire per invertire la nostra attuale tendenza alla devastazione
ambientale. Dunque, cercheremo ora di descrivere i tratti essenziali,
che, secondo Goldsmith, devono qualificare una società stabile.
Innanzitutto, tale paradigma sociale si contraddistingue in quanto è un
sistema autoregolato ed autogovernato, in cui regna grande disciplina,
all'interno dell'ordine gerarchico costituito, senza confusione di
ruoli, senza che le parti si sormontino o si scavalchino reciprocamente,
fondato su una scala di valori che assicura la subordinazione degli
interessi particolari ed egoici dell'individuo a quelli della famiglia e
della società nel suo insieme. Come e già stato sottolineato, questi
requisiti della stabilità si possono ritrovare nelle società tribali, in
cui l'unica istituzione che riscontriamo, nota Goldsmith, "... è quella
del consiglio degli anziani, il cui ruolo è quello di interpretare la
tradizione tribale e di garantire che essa sia osservata scrupolosamente
e tramandata quanto più immutata possibile alle generazioni successive.
Un'altra peculiarità fondamentale delle società stabili è il carattere
eminentemente sociale dei loro cuti e riti; senza di essi, non
potrebbero essere assicurate la coesione e la compattezza di tali
sistemi, i quali sono contraddistinti da una completa identità tra Stato
e territorio. Infatti, nel caso di Roma (durante il periodo
repubblicano), come in quello di molte società tribali, "...il
territorio che essa occupava era strettamente collegato con la sua
religione. Esso era un suolo sacro, il suolo in cui erano sepolti gli
antenati della società. Allo stesso modo, la società romana era sacra,
dato che a sua struttura era consacrata dai suoi Dei....
Non a caso, quindi, spesso si dice che una tribù è composta dai vivi,
dai morti e dalle persone non ancora nate -da questo la sua grande
continuità, proprio perché i defunti che in vita si erano segnalati per
una condotta irreprensibile secondo la tradizione, per atti di eroismo o
altre azioni meritorie, non si trasferiscono in qualche remota "Isola
dei Beati", ma seguitano a stazionare nel loro villaggio acquisendo il
ruolo di figure protettive nei confronti della famiglia e del clan di
appartenenza, promossi ad una classe di età più prestigiosa.
La democrazia consensuale
Goldsmith rileva, inoltre, come l'autocrazia fosse sconosciuta tra le
società stabili tradizionali. A riprova di ciò, egli cita il caso del re
omerico, il quale "... come l'originario re romano, poteva essere
detronizzato da una semplice votazione per alzata di mano, esattamente
come può esserlo il suo omologo dell'Africa occidentale.
A tale proposito, è importante osservare come i re di Roma non siano
stati rimossi dalla loro carica perché contrari al "progresso sociale",
motivazione tipicamente moderna, che, spesso solo a livello di proclami,
guida il cambiamento politico, ma per ragioni diametralmente opposte,
essi si erano, in realtà, allontanati dalla legge tradizionale in quanto
avevano tentato di integrare i plebei nello Stato, essendo questi
stranieri e, quindi, non incorporabili nel tessuto sociale originario
senza sconquassarlo.
Come e stato in precedenza accennato, un sistema autoregolato è
ordinato, nel senso che le sue parti sono differenziate per adempiere a
funzioni specializzate e, perciò, non sono affatto autonome, bensì
interdipendenti. Ciò significa che esse devono cooperare tra di loro per
soddisfare sia i bisogni fondamentali dell'intero sistema di cui fanno
parte, sia, nel contempo, le loro specifiche esigenze.
Goldsmith giunge così, in base a tali presupposti, al "principio di
cooperazione gerarchica", che vale per il comportamento all'interno di
qualsiasi sistema autoregolato, come una famiglia o una comunità, e che
potrebbe essere formulalo in questi termini: "...in un sistema
autoregolato, il comportamento che soddisfa i bisogni delle parti
differenziate soddisfa anche quelli del tutto.
Questo principio è lettera morta in una società industriale moderna
caratterizzata dalla disintegrazione del tessuto sociale,
dall'individualismo sfrenato e dal degrado ambientale, nella quale è
semplicemente illusorio pensare alla cooperazione dei suoi membri per
qualsiasi attività che non sia finalizzata verso interessi parziali di
singoli individui o gruppi.
Dalle precedenti analisi emerge, quindi, assai chiaramente come i gravi
problemi che stanno facendo precipitare il mondo dentro un abisso senza
confini non possono essere risolti con espedienti a breve termine o con
provvedimenti ad hoc, ma solamente attraverso un'inversione radicale di
tendenza. Secondo Goldsmith è necessario muoversi verso una società
stabile o in stato stazionario, in cui "... l'investimento di capitale
uguaglierebbe il deprezzamento, le nascite uguaglierebbero le morti, ma
il livello effettivo di investimento di capitale e di nascite sarebbe
notevolmente più basso di quello attuale -un livello che determinerebbe
una "domanda ecologica" che potrebbe realmente essere soddisfatta, cioè
una domanda che sarebbe uguale al tasso di recupero naturale. In altri
termini, ciò cui dobbiamo mirare non è la crescita, ma una crescita
negativa, cioè una contrazione economica e demografica.
Pertanto, Goldsmith si pone decisamente contro l'idea di progresso
economico, contro il predominio dell'economia di mercato, fenomeno,
quest'ultimo, che l'economista K. Polanyi considera come una delle
grandi calamità che abbiano colpito la civiltà occidentale. L'economia
di sussistenza, che è propria delle società primitive, precapitalistiche
e premoderne, non conosce il concetto di "scarsità", non conosce la
miseria né la povertà che contraddistinguono, invece, le società moderne
industrializzate: la scarsità e il suo contrario, l'abbondanza, sono
nozioni relative ai bisogni e ai consumi richiesti da un certo tipo di
uomo. Ora che spadroneggiano il consumismo e l'anima desiderante, siamo
infatti prigionieri dell'idea di "bisogni illimitati" e della tendenza
alla massimizzazione del profitto. Prevale, perciò, il comportamento
"economico", sconosciuto nelle società tradizionali, in cui le attività
"produttive" erano svolte per motivi sociali, come quello di assolvere
obblighi di parentela (reciprocità) o di ottenere prestigio.
Goldsmith, inoltre, contrariamente ad uno stereotipo corrente, alla base
di tutti i piani di industrializzazione e di crescita economica dei
paesi del Terzo Mondo, predisposti da Agenzie internazionali quali la
Banca Mondiale e la FAO, precisa che il cosiddetto "sviluppo economico"
non migliora assolutamente il tenore di vita della società intera.
All'opposto, esso determina effetti controproducenti assai sgradevoli,
come, ad esempio, la disoccupazione e l'incremento demografico
incontrollato.
"Non dimentichiamoci -osserva sempre Goldsmith- che la maggior
parte dei nostri congegni tecnologici è necessaria proprio allo scopo di
risparmiare manodopera.
Pertanto, il rilancio economico su criteri dell'alta tecnologia non
significa rilancio dell'occupazione ma, anzi, diminuzione progressiva
del numero del posti di lavoro.
Piccolo è bello
L'aumento sproporzionato della popolazione, poi, ha creato metropoli
enormi insostenibili, assurde concentrazioni di persone sradicale dal
loro ambiente d'origine, deprivate rispetto ai loro bisogni autentici,
quelli sociali, in quanto vivono in un tessuto societario disgregato,
senza tradizioni, senza veri collanti culturali che tengono uniti gli
uomini in vista della realizzazione del bene comune, attraverso stabili
rapporti e vincoli di solidarietà. Tale sottoproletariato urbano, il più
delle volte senza lavoro, o impiegato in occupazioni precarie, diventa
cosi facile preda della criminalità, della tossicodipendenza e di altre
manifestazioni di disadattamento sociale sempre più degeneri.
In definitiva, contro l'attuale società centralizzata burocratizzata
Goldsmith ripropone l'ideale gandhiano di uno Stato come associazione di
"repubbliche-villaggio", tendenzialmente autosufficienti, in cui le
attività economiche, come indica con forza lo stesso Platone, siano
svolte nella più piccola scala possibile, per salvaguardare al massimo
grado attuabile l'ambiente sociale e fisico.
Sempre in sintonia con Platone, eccettuate le ovvie differenze epocali
in ordine ai dettagli, Goldsmith suggerisce di eliminare quei beni di
lusso che ancora (1977) non sono divenuti di comune necessità, come i
televisori a colori, le automobili di grossa cilindrata, i motoscafi
privati, i videoregistratori, gli spazzolini da denti elettrici, etc..
Comunque, a ben vedere, possiamo trovare non poche corrispondenze tra le
idee goldsmithiane e il pensiero di Platone, al punto che determinate
elaborazioni dell'ecologista inglese possono essere considerate, seppur
con cautela, valide attualizzazioni di talune concezioni socio-politiche
del filosofo ateniese.
Come Goldsmith, Platone è nemico dello sviluppo economico, del mercato e
delle speculazioni: "In questa legislazione non c'è praticamente spazio
per il profitto, perché da essa consegue il rigido divieto per chiunque
di trafficare in loschi affari, in quanto il mestiere cosiddetto "vile"
ha l'effetto di distogliere dai nobili costumi.. Inoltre, egli è per
una comunità caratterizzata da uno stile di vita frugale e da attività
economiche (al terzo posto nella scala dei valori) basate sul criterio
della soddisfazione moderata dei bisogni essenziali dell'individuo.
Come abbiamo visto, Goldsmith non sembra discostarsi sostanzialmente da
tale linea di tendenza. In piena consonanza con l'ecologista inglese,
Platone -sia ammessa l'inversione cronologica- è sostenitore, poi, di
una società stabile basata sull'agricoltura e sull'artigianato: e stata
l'industrializzazione moderna che ha invece mandato in rovina, secondo
Goldsmith, questo tipo di società preesistente, ordinata, in cui
l'interesse delle parti si armonizzava con l'interesse del tutto.
Platone e l'ecologista inglese concordano, quindi, sulle modalità di
atteggiamento da assumere rispetto al problemi della crisi demografica:
entrambi sostengono, nella sostanza, che ad un livello ottimale, per
mantenere una società in una situazione stabile, è necessario che il
numero delle nascite pareggi quello delle morti e che, per ottenere
questo, occorra stabilire un adeguato controllo demografico.
In particolare, Platone, nelle Leggi, precisa che il numero dei
cittadini dello Stato "secondo" non deve variare: "Bisogna disporre che
il numero odierno dei nostri focolari domestici si mantenga identico,
non aumentando né diminuendo neppure di un'unità e riferisce, inoltre,
che "La legge fissa il numero ideale dei figli precisamente in un
maschio e una femmina.
Inoltre, ricordiamo che, non diversamente da Platone, al quale interessa
soltanto un certo tipo di crescita, quella spirituale della sua
comunità, Goldsmith considera del tutto insensato insistere ancora
sull'idea di progresso, inteso come sviluppo economico ad ogni costo,
concetto che viene ribadito in tutti i congressi internazionali come
idea-forza e ricetta miracolosa per la risoluzione dei problemi
mondiali.
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Mario Cenedese
Laureato in Pedagogia all'Università di Padova con tesi
sull'epistemologia in P. K. Feyerabend, ha seguito vari Corsi di
perfezionamento in "Metodologia dell'insegnamento filosofico" presso la
stessa Università, compiendo studi sull'ecologia in E. Goldsmith, sulle
concezioni filosofiche della natura e su Eraclito e l'Oriente in A.
Somigliana. Insegnante di Filosofia, è presidente dell'Associazione
Filosofica Trevigiana.
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