Fa caldo, molto caldo. Questo caldo che continua a salire creando quel disagio di cui tutti siamo partecipi e che si accompagna a fantasie catastrofiche tutt’altro che irrealistiche, se dobbiamo prestare fede alle tante ricerche di cui sono pieni gli organi di stampa, oltre che i volumi dei climatologi.

Questo riscaldamento del pianeta, come ben sappiamo, può essere collegato almeno in parte (per molti in buona parte) ad un uso massiccio e spesso indiscriminato di combustibili fossili. Delegazioni di governo si incontrano periodicamente per ratificare impegni per la riduzione di tali emissioni di gas(serra), ma la realtà tangibile giorno dopo giorno è che la temperatura del pianeta continua a crescere, i ghiacciai si sciolgono, si producono crescenti fenomeni di desertificazione, di perturbazioni climatiche etc.

Se il pianeta è malato, soffre di febbre alta … (e tutti ne soffriamo), quale è il rimedio?
Se questa è la diagnosi, quale la terapia?

Un grande studioso dell’argomento, Edward Goldsmith, autore di una ventina di libri di cui 8 tradotti in italiano, è stato molto chiaro rispetto a questa domanda: se il pianeta soffre per un eccesso di produzione di calore, l’unica terapia è di ridurla.

Giusto. Ma come? Questo è il punto sul quale ci areniamo. I governi infatti (Stati Uniti in primis), al di là dei proclami e delle buone intenzioni, non riescono (o non vogliono) a ridurre i consumi perché questo inciderebbe negativamente sull’economia, già in difficoltà in questi anni.

Messo in questi termini, il problema appare senza soluzione ed il corollario che ne deriva è la condanna del pianeta ad una evoluzione negativa del fenomeno sino a limiti critici difficilmente reversibili.

Ci siamo chiesti quindi se non fosse davvero ineluttabile stare ad aspettare il secondo diluvio universale coltivando l’alibi del “non c’è nulla da fare” o se assumerci una quota-parte di responsabilità personale nel cercare di invertire la rotta.

Un altro concetto-chiave ci ha accompagnato: quello della autoregolazione organistica. Se anche i governi non fossero in grado di adottare misure efficaci, non è forse nel nostro interesse collettivo assumerle noi dalla base?

Da questo processo di pensiero è nata la scelta, da parte di gruppo iniziale di persone (medici, insegnanti, psicologi, managers, ingegneri, educatori, avvocati, bancari, formatori, etc. riuniti occasionalmente in occasione di un corso di formazione nel counselling) di aderire ad una ipotesi di autoriduzione della produzione di calore in linea con le conclusioni del famosi trattato di Kioto che indicava come obiettivo minimale ma ineludibile la riduzione del 10% annuo.

E’ possibile trovare molti dati sull’argomento sul sito www.bancadelclima.it.

Che significa in concreto? Una serie di comportamenti che, pur lasciando sostanzialmente intatto il nostro tenore di vita, possono realisticamente comportare questa auspicata autolimitazione della produzione di calore, come usare meno l’automobile (a favore dell’uso di mezzi pubblici, della bicicletta o … delle gambe), il riscaldamento (qualche grado in meno del termosifone ed un maglione in più, cosa che fa anche meglio alla salute), gli impianti di refrigerazione per appartamento (meglio un ventilatore, quando è possibile, che produce a sua volta meno calore) ed una serie infinita di piccoli e grandi gesti che ognuno saprà identificare nel proprio stile di vita quotidiano.

Vi mandiamo quindi un manifestino che è girato tra i membri del gruppo e che sintetizza questi concetti. La teoria, in questo caso, si traduce in un obiettivo molto chiaro, semplice e definito: la riduzione del 10% che rappresenta anche il logo del neonato Reduce Planet Temperature Movement-RPTM (in inglese perché la cosa, per funzionare, deve internazionalizzarsi). Curiosamente l’idea è partita con una insospettata forza e sono già allo studio la produzione di T-shirts con il logo, idee di indurre campagne di sensibilizzazione etc.

Che cosa significa quindi aderire al RPTM? Assolutamente niente in termini di impegno formale, ma solo di scielta personale consapevole orientata l perseguimento dell’obiettivo specifico. Si tratta in fondo di coltivare un atteggiamento orientato ad una maggiore sobrietà nei consumi. I principi di riferimento si fondano sul alcuni concetti come:

- principio autoregolativo dell’organismo, sia a livello individuale che sociale
- la assunzione personali di cor-responsabilità
- la relazione Organismo/ambiente come definizione della possibilità di stare bene o male a questo mondo

Grazie a coloro che decideranno di dare il loro personale contributo teso a rendere vivibile il pianeta che tutti abitiamo.